L’opera pubblicata e Amélie Nothomb

Oggi è giovedì. Sabato prossimo avrò la presentazione del libro al festival letterario Mangiarsi le parole. Mentre la presentazione alla Gaia Scienza è stata più o meno improvvisata, questa in Fortezza Vecchia sarà più “curata”, nel senso che chi mi introduce, Patrizia Pasqui, conosce bene i racconti e ne abbiamo parlato insieme. Perciò invito a venirci anche coloro che hanno già partecipato alla prima presentazione. Anche alcuni brani letti da Alessandra saranno diversi.

Ma a parte questo (anzi, a proposito di questo…)

Sto leggendo un libro di Amélie Nothomb, il cui stile secco, con dialoghi efficaci, mi piace molto. Si intitola Acido solforico. Per ora ho letto solo una cinquantina di pagine: senza alcuna ragione appparente, molte persone vengono rastrellate dalle strade e portate in campi di concentramento del tutto simili a quelli nazisti. Il campo è cosparso di telecamere che frugano nella vita dei prigionieri costretti alla fame, agli stenti, al lavoro forzato e alla morte. Tutto va in onda in TV. La protagonista, Pannonique, è una bella ventenne che diventa l’attrazione principale del campo.  Poiché, secondo lei, l’idea di un qualsiasi Dio è in completa antitesi con la presenza di una cattiveria simile, decide di sostituirsi al Dio che non esiste.

A un certo punto mi imbatto in un brano (sicuramente autobiografico) che mi ha fatto riflettere:

[…] Sarebbe stata Dio per tutto. Non si trattava più di creare l’universo: troppo tardi, il danno era già stato fatto. In fondo, dopo la creazione, qual era la mansione di Dio? Indubbiamente quella di uno scrittore a pubblicazione avvenuta: amare il suo testo davanti a tutti, ricevere per esso i complimenti, i quodlibet, l’indifferenza. Affrontare certi lettori che denunciano i difetti dell’opera nel momento in cui, se pure avessero ragione, non ci sarebbe più modo di emendarli. Amarlo fino in fondo. Quell’amore sarebbe stato l’unico aiuto concreto possibile da parte dell’autore.

Ragione in più per tacere. Pannonique pensava a quegli scrittori che non la smettono mai di discutere del proprio romanzo: a che serve? Non avrebbero reso miglior servigio al loro libro se gli avessero iniettato, al momento della creazione, tutto l’amore necessario? E se non sono stati in grado di fornire quel sostegno al momento opportuno, non sarebbero stati più utili al proprio testo amandolo comunque, di quell’amore autentico che non si esprime con la logorrea ma con un silenzio rotto solo da parole forti? La creazione non doveva poi essere così difficile visto che era così esaltante: il lavoro divino si complicava in seguito. […]

Calzante, no?

Per chi volesse approfondire la conoscenza della Nothomb, io consiglio il primo libro da lei pubblicato, Igiene dell’assassino, e quel divertissement che è Le catilinarie, arguto e divertente.


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